CANNABIS E CASSAZIONE. QUANDO COLTIVARE NON E’ UN REATO

LA DELICATA QUESTIONE SULLA PUNIBILITÀ DELLA COLTIVAZIONE DELLA CLASSICA PIANTINA DI MARIJUANA AD USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE.

Vi siete mai chiesti se coltivare una o più piantine per uso personale possa essere legale, malgrado ad oggi la marijuana continui ad essere una sostanza psicotropa? Sul punto, pronunzie della Suprema Corte di Cassazione, ormai consolidate tra le varie sezioni, hanno sancito che la mera coltivazione per uso personale di due piantine di marijuana non costituisce il reato previsto e punito dal D.P.R. 309/90.

Le sentenze in materia, partendo dal 2010 ad oggi, hanno raggiunto una nuova frontiera dunque circa la coltivazione, sopratutto per l’aumento dell’utilizzo della sostanza a scopi medici, posto che la marijuana risulta essere un forte antidepressivo, con caratteristiche antitumorali.

“La Legge punisce la coltivazione di tipo agrario, non di tipo domestico, non essendo punibile chi per procurarsi la sostanza destinata all’uso privato, la coltivi personalmente anziché rivolgersi al mercato della droga” 

Partendo da questa premessa, la Corte suprema osserva che il bene tutelato dalla norma di legge che incrimina le condotte di «spaccio», consiste nell’impedire che la disponibilità dello stupefacente comporti il concreto pericolo della sua diffusione e quindi un incremento del mercato della droga. Or dunque, una coltivazione di poche piantine di marijuana destinate al consumo personale non è, per definizione, destinata ad incrementare il mercato, e perciò, non essendo idonea a ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice, non è punibile. Le Sezioni Unite della Cassazione con due sentenze gemelle a quella del 2008, pur essendo la coltivazione delle piante di marijuana penalmente rilevante a prescindere dalla destinazione del prodotto (quindi anche per uso personale), hanno ribadito che spetta al giudice di volta in volta verificare se la condotta contestata sia idonea o meno a “mettere a repentaglio il bene giuridico protetto”, ossia la salute pubblica. In altre parole, la punibilità per la coltivazione di questo genere di piante “va esclusa allorché il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto”, cioè se la sostanza ricavabile “non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile”.

Parimenti si è espressa la Corte Costituzionale su tale aspetto, più volte affermando che «l’idoneità offensiva della condotta di coltivazione può stemperarsi nella constatazione» che la lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice dello «spaccio» in realtà, in concreto, non sussiste. Affinchè si configuri dunque il reato di spaccio, alla coltivazione devono seguire elementi concreti, che corroborino le tesi accusatorie, spesso limitate a sequestri di mere piantine palesemente destinate all’uso personale per sollevare una contestazione del fine di spaccio, che dunque non è mai insito nella coltivazione stessa ma richiede un vaglio maggiormente apprezzabile, concreto e tangibile.

caso concreto:

  • Nel 2014, sempre laCorte di Cassazione ha annullato, come accaduto con la recente sentenza, la condanna nei confronti di una persona che aveva coltivato nella propria casa due piantine di marijuana di modeste dimensioni, dal momento che tale attività rendeva “irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa”.
  • la Sesta Sezione penale della Cassazione, che con una sentenza (5254/16)  ha annullato la sentenza di condanna emanata nel novembre 2013 dalla Corte d’appello di Trento nei confronti di una coppia di ventenni, colpevole di aver coltivato in un armadietto-serra della propria abitazione due piante di canapa indiana, e di detenere un essicatore per il trattamento delle foglie prodotte. Secondo gli ermellini, l’interpretazione fornita dai giudici di merito nella loro condanna, secondo la quale la coltivazione di piante per la produzione di sostanze stupefacenti è sempre punibile, a prescindere dal suo eventuale uso personale, risulta essere “indubbiamente rigida”, ed a questa deve invece essere opposta una valutazione circa l’esistenza di una ”offensività concreta” della condotta. Sulla base di questo principio, ha riconosciuto la sostanziale inoffensività della coltivazione casalinga di due piantine di canapa, in virtù del suo “conclamato uso esclusivamente personale” e della sua “minima entità”, tale da escludere “la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione” stessa.

Si può dunque affermare, come principio consolidato, che in tema di sostanze stupefacenti (cannabis hashish innanzitutto), la coltivazione diretta di piante piccole o di numero ridotto, esclude la possibilità di parlare di reato. La “piantagione domestica”, se rivolta a estrarre una minima parte di principio attivo, non è un attentato alla salute pubblica.

Pubblicato da AVVOCATO ALESSANDRO BAVARO

STUDIO LEGALE N. 0964311854

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