Si è chiuso così il processo milanese a carico di Osman Matammud, il 22enne somalo accusato di aver diretto il campo profughi di Bani Walid, in Libia, dove avrebbe sequestrato, torturato e seviziato decine di suoi connazionali. L’imputato, che si è sempre proclamato innocente ed era presente in aula al momento della lettura del verdetto, ci ha provato fino all’ultimo a convincere il Tribunale: ‘Ho detto la verità, non ho mentito, non ho commesso nessun reato.
“Spero nella giustizia e nella vostra correttezza” è stato il suo ultimo appello ai giudici.
Tutto inutile: la Corte d’Assise di Milano ha accolto la richiesta del pm Marcello Tatangelo e lo ha giudicato colpevole di sequestro di persona a scopo di estorsione di alcune centinaia di profughi, violenza sessuale di decine di giovani ragazze. Tuttavia, l’accusa di omicidio volontario è invece caduta, riassorbita in quella di sequestro aggravato dalla morte di alcune delle vittime.
Torture e sevizie compiuti, secondo la ricostruzione dell’accusa, per spingere i profughi detenuti nel centro di raccolta libico a pagare 7 mila dollari per raggiungere l’Italia a bordo di barconi. Sono state le stesse presunte vittime del presunto torturatore (17 quelle ascoltate come testimoni nel processo milanese) a descrivere minuziosamente tutte atrocità subite all’interno del lager libico. Un centro di raccolta dotato di una vera e propria stanza delle torture, dove i profughi somali sarebbero stati tormentati con scariche elettriche, sacchetti di plastica incendiati e fatti sciogliere lentamente sulla loro schiena ma anche pestati selvaggiamente a colpi di tondini di ferro, fino alla rottura delle ossa.
Le donne hanno invece raccontato di stupri e sevizie quotidiane compiute da Matammud anche su giovanissime minorenni.
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