Le dichiarazioni della persona offesa dal reato di atti persecutori possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato.
Senteza n. 57764, V sez. Pen., 28 dicembre 2017 (in allegato)
In tema di atti persecutori la Corte di Cassazione ha recentemente affrontato la querelle giuridica sugli elementi oggettivi e soggettivi del reato, analizzando le condotte del persecutore e gli elementi probanti a suo carico, anche se meramente narrati dalla vittima. La pronunzia prende spunto da un caso specifico avvenuto a Biella, ove l’imputato, aveva posto in essere diverse condotte, protratte nel tempo, consistite in invii di messaggi continui alla persona offesa nonchè nella creazione di un account Facebook altamente offensivo, corroborato, in concreto, da pedinamenti e appostamenti.
L’imputato, condannato sia dal Tribunale di primo grado che dalla Corte d’ Appello di Torino, aveva proposto ricorso per Cassazione prevalentemente su due motivi:
- al punto di vista motivazionale, la Corte di Appello di Torino avrebbe fondato il proprio convincimento sulla base delle sole affermazioni della parte offesa, senza considerare le addotte motivazioni dell’imputato che, a suo dire, avrebbero in qualche modo giustificato la sua condotta. Le condotte denunziate dalla parte offesa, tra l’altro, quali pedinamenti ed appostamenti, sarebbero state frutto, a dire del ricorrente, di una mera percezione soggettiva della donna.
- Veniva dedotta, poi, violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’evento, non essendo stato provato né lo stato d’ansia né il mutamento delle abitudini di vita, sostenendosi, altresì, l’impossibilità di configurare il reato in esame quando l’attività asseritamente persecutoria sia realizzata attraverso Facebook.
Secondo la V sezione Penale della Corte di Cassazione “le dichiarazioni della persona offesa dal reato di atti persecutori possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato.” Si richiama indubbiamente la necessità di una verifica preliminare sull’attendibilità intrinseca del racconto e sulla credibilità soggettiva insita, che deve certamente essere più rigorosa rispetto alle mere dichiarazioni testimoniali.
Secondo la Corte, dunque, una volta verificata la credibilità soggettiva e l’attendibilità del racconto, occorrerà valutare l’effettivo verificarsi dell’evento lesivo, consistente nella variazione delle proprie abitudini di vita e nella instabilità dell’equilibrio psico fisico. Nel caso de quo la vittima aveva provato le prescrizioni di farmaci ansiolitici e il ricorso alla psicoterapia, tesi per giunta confermata tramite l’escussione del medico curante.
Secondo la Corte, va rilevato che tali prescrizioni non avvengono sulla base di una sintomatologia meramente dichiarata ma a seguito di una valutazione anamnestica e diagnostica.
La prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, è stata, poi, secondo la Cassazione, correttamente ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando la sua astratta idoneità a causare l’evento, in ossequio alla costante giurisprudenza di legittimità, fra cui, da ultimo Sezione V, numero 17795/2017.
Con precipuo riferimento alla impossibilità da parte della difesa dell’imputato, di configurare il reato in esame quando l’attività asseritamente persecutoria sia realizzata attraverso Facebook, la Corte ha osservato che “la giurisprudenza ammette che messaggi o filmati postati sui social network integrino l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori” (già da Sezione VI, numero 32404 del 16/07/2010) e l’attitudine dannosa di tali condotte sarebbe quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa.